Nel 1973 Leornard Bernstein, a chiusura delle sue lezioni di musica ad Harvand, affermava: ‘Credo che stia arrivando una nuova grande stagione dell’eclettismo. […] Tutti i vari linguaggi si intrecciano fra loro e si combinano in idiomi sempre nuovi’. Da allora il mondo musicale ha dato ragione a Bernstein, con sempre più concerti, composizioni e ensemblesche si fondano sulla commistione di diversi generi musicali. Una di queste commistioni, diventata quasi classica, proprio grazie a Bernstein (ma anche a Gershwin, Stravinsky e vari altri), è quella fra musica sinfonica e jazz. L’ultimo incontro, in ordine di tempo, fra questi due generi è quello andato in scena sabato al Barbican di Londra, grazie ad un concerto che vedeva esibirsi insieme la Jazz at Lincoln Center Orchestra(JLCO) di Wynton Marsalis e la London Symphony Orchestra (LSO) guidata da Antonio Pappano. L’evento si inseriva in un fitto programma che occupava tutto il weekend ed inclundeva altri due concerti dell’orchestra di Marsalisnelle serate di venerdì e domenica oltre alle esibizionipomeridiane (e a ingresso libero) di varie compagini jazzistiche giovanili provenienti dalla New York’s High School Jazz Academy e dalla Guildhall School of Music and Drama, che suonavano nei corridoi del Barbican prima dei concerti serali, dando luogo ad una vera e propria festa musicale.
Nella prima parte, il concerto serale era incentrato su una selezione di brani di Duke Ellington, eseguiti dalla sola JLCO, con uno stile che attingeva direttamente alla dimensione più pura e schietta del jazz anni ’40-’50, distillata attraverso le labbra e le dita di musicisti di prim’ordine come quelli dell’ensemble di Marsalis. In ogni momento, anche in quelli relativamente più melodici, si sentiva l’energia spensierata e impenitente del jazz degli anni d’oro, che emergeva in particolare nel suono acuto e spinto dei clarinetti, nelle trombe a briglia sciolta, nei tromboni con sordino a rievocare il metallo delle vecchie automobili, negli assoli di sax suonati con assoluta libertà ritmica e naturalezza espressiva. Uno stile che sembrava passato intatto attraverso le nebbie smooth degli anni ’80, la trasformazione del jazz da semplice sound a tecnica, il graduale stratificarsi di vasti orizzonti intellettualistici e inquietudini. In questo senso, si sentiva la differenza con i giovani che suonavano fuori, pensosi e concentrati, impegnati a ricercare virtuosismi conquistati duramente, suoni ovattati e complessità sonore che fanno il paio con le complicazioni sempre più difficili da navigare della società odierna e gli anfratti urbani di un’America che non è più così upbit. Si tratta semplicemente di un’altra generazione, originata da una sequela di cambiamenti epocali di cui non abbiamo certo visto la fine. Anche il jazz che suonano non può non portarne i segni.
Nella seconda parte del concerto, comunque, le nebbie e le ombre sembravano allungarsi anche sulla sala grande del Barbican con l’esecuzione, per la prima volta in Inghilterra, della Sinfonia No. 4 ‘The Jungle’ di Winton Marsalis, per la quale la LSO si univa alla JLCO. Si trattava di un brano composto inizialmente per la New York Philarmonic che la eseguì in prima assoluta nel 2016. Esso non si segnalava per particolari innovazioni compositive (con eccezione, forse, del finale dell’ultimo movimento). La sua caratteristica principalestava piuttosto nell’uso dell’armamentario tipico del jazz per esplorare ancora una volta un topos classico per questo genere, quello della jungla urbana per antonomasia (New York City), stavolta, visti i tempi ancora più torbidi e ansiogeni che viviamo oggi, spingendo ulteriormentesull’acceleratore.
La Sinfonia era articolata in sei movimenti, che cercavano ognuno di evocare un aspetto della Grande Mela. Il primo movimento, ‘The Big Scream’, puntava tutto sui tempi frenetici e la grande complessità ritmica, con fermate, repentini cambi di tempo, contrattempi, con le trombe a rievocare i clacson di New York, i violoncelli e contrabbassiad imitare il suono della metro, i legni a suggerire i molteplici strepiti e cigolii della città. Nel secondo movimento, lo strepito della metropoli diventava un ‘Big show’, in un omaggio a quella Broadway che da sempre sublima l’energia di New York facendola diventare musica e spettacolo, con atmosfere rievocate perfettamente dagli ottoni della JLCO. Atmosfere più sinfoniche ed elegiache caratterizzavano invece il terzo e il quarto movimento. Quest’ultimo, intitolato ‘Us’era un omaggio all’anima romantica, sofisticata e sensuale di New York, mentre il primo, intitolato ‘Lost in Sight’ cercavadi uscire per un momento dal glamour per ricordarsi dei senza tetto e di tutti coloro che sono confinati ai margini, presentiovunque ma spesso ignorati. Soprattutto questa partepermetteva alla LSO di sfoggiare il suono vellutato e le qualità musicali che le sono proprie. Dall’altro lato, però, si può obiettare come la musica di Marsalis qui sembrasseancora spesso ricadere in una visione romanticizzata della povertà, di una nobile emarginazzione quasi bohemienne, in un momento in cui la gravità del problema richiederebbe forse di guardarlo più direttamente nella sua crudezza. Il quinto movimento (‘La Esquina’) celebrava la cultura afro-latina che tanto ha plasmato l’America, mentre nell’ultimo movimento(‘Struggle in the Digital Market’) si ritornava alla frenesia e complessità ritmica, stavolta però guardando a più cupi orizzonti segnati dall’ascesa sempre più inarrestabile del turbocapitalismo e della cultura tossica dei social, dalla persistente marginalizzazione delle minoranze (inclusa quella afro-americana di cui Marsalis è espressione), delle stragi dovute all’uso incontrollato delle armi da fuoco e da una presidenza Trump in cui siamo ricascati con tutte le scarpe. Dal complesso ordito sinfonico emergevano sempre più insistenti citazioni tematiche che rimandavano allo spiritual ‘Nobody knows the trouble I’ve seen’ (‘Nessuno sa i dolori che ho visto’). Il finale della Sinfonia, con ripetuti spari e la musica che si spegneva sotto di essi, non sembrava molto ottimista sulle nostre possibilità di sopravvivere a questo turbolento periodo storico.
In generale, nell’eseguire questo complesso brano la LSO e la JLCO suonano con grande perizia e coordinazione, guidate da un Antonio Pappano che, soprattutto nel primo e ultimo movimento, dirigeva tanto con le braccia che con le spalle e i piedi e, al netto di qualche sfasamento e imprecisione nel primo e terzo movimento, gestiva l’intera esecuzione con sicurezza. Alla fine standing ovation per tutti e specialmente per Winton Marsalis che, con la sua proverbiale modestia, aveva suonato tutto il concerto rimanendo indietro assieme agli altri trombettisti di fila e che alla fine si rifiutava di salire sul podio a prendere gli applausi. Unica pecca, il bis chiamato a gran voce e non concesso, che ha rimandato a casa il pubblico perfino qualche minuto prima delle nove di sera, con ancora molta fame di jazz nello stomaco.
La recensione si riferisce al concerto del 15 marzo 2025.
Kevin De Sabbata
Photo©Mark Allan
Programma
da brani di Duke Ellington
INTERVALLO
Symphony No 4 The Jungle
di Wynton Marsalis